Tomba III

 

L’ipogeo n. 3 è sicuramente la tomba più nota e citata in letteratura, fra quelle della necropoli di Sa Figu. Scavata da Ercole Contu nel 1961, restituì i materiali più significativi, fra cui il noto vaso con orlo a tesa interna ed ornato metopale attualmente esposto al Museo “A. Sanna” di Sassari. La tomba viene pubblicata, con il rilievo integrale, da E. Castaldi nel 1975, mentre pochi anni dopo la stessa Autrice ne fa menzione definendola erroneamente “Tomba II”. Nel 1976 compare la prima immagine del vaso con orlo a tesa interna, ormai restaurato, nella guida del Museo Sanna; immagine riprodotta anche nel lavoro di Contu del 1978 ed in altre pubblicazioni successive.

            La tomba III è praticamente attigua alla II, sulla sinistra, aperta sullo stesso basso affioramento calcareo; analoghe sono anche le caratteristiche architettoniche e le vicende culturali che la interessarono. Anche in questo caso si tratta, infatti, di una domus de janas il cui impianto planimetrico originario risale al Neolitico Recente, e che in seguito venne ampliata e riutilizzata durante l’Età del Bronzo come tomba a prospetto architettonico, con l’applicazione sulla fronte della stele centinata e dell’esedra ad ortostati, questi ultimi collocati su una parete di roccia preventivamente scavata in forma semicircolare. Doveva essere sicuramente presente, sul piano superiore del banco di roccia, il tumulo posticcio di lastre e pietrame, come nella Tomba II, ma non ne rimane alcuna traccia evidente.  

Il portello originario della domus de janas, aperto probabilmente su un affioramento di roccia declive, era preceduto da una sorta di breve invito o padiglione rettangolare (di m 0,80 di largh. e m 0,15 di profondità residua; altezza m 0,60), allo scopo di raggiungere una superficie di scavo sufficiente per realizzare l’ipogeo. Il padiglione venne poi distrutto per la realizzazione dell’esedra della tomba a prospetto architettonico, pur risparmiandone la parte terminale.

Un portello rettangolare (m 0,50 x 0,60 x 0,30 circa di spessore), privo della parte superiore, immette nell’anticella. E’ ancora presente in situ, seppur degradato, l’originario chiusino in calcare (m 0,66 x 0,30 x 0,17 di spessore massimo). Il vano dell’anticella, sebbene privo quasi totalmente del soffitto, presenta ancora pressoché inalterata la sua planimetria originaria, vagamente pentagonoide (m 1,10 x 1,10 x 1 di altezza). Notevoli furono invece le trasformazioni subite dagli altri vani della tomba, fusi in un unico grande ambienta dalla planimetria quadrilobata irregolare, al quale si accede dall’anticella per un portello rettangolare di m 0,50 x 0,60 x 0,20 di spessore. In origine, dobbiamo ipotizzare un vano principale di disimpegno sul quale si affacciavano almeno tre o (meno probabilmente) quattro ambienti secondari.

Il vano di disimpegno è oramai impossibile da ricostruire nella sua forma e nelle sue dimensioni originarie. Degli altri ambienti, si osservano tracce residue di una cella di planimetria quasi circolare a SE (m 2,30 x1,60 x 1,10 di altezza), un’altra di forma ugualmente tondeggiante a NE (2,30 x 1,60 x 1,20 di altezza) ed una, più ampia, a SO, di forma quadrangolare ad angoli arrotondati (m 2,70 x 2,00 x 1,10 di altezza). A NO si osserva, invece, una leggera concavità della parete, per una profondità di alcuni decimetri: troppo poco per essere definito come traccia residua di un ambiente vero e proprio.

Nella frase di riutilizzo come tomba a prospetto architettonico, venne realizzata un’esedra dell’ampiezza di 6 metri circa, ottenuta scavando la parete di roccia per un’altezza di circa un metro; parete che attualmente si presenta a vista, ma che in origine dobbiamo supporre obliterata dagli ortostati dell’esedra, alcuni dei quali si osservano riversi al suolo, in frantumi.  

Della “stele”, che era eretta davanti all’ingresso, rimane, ribaltata al suolo, la lastra della lunetta semicircolare, di m 2 di larghezza, m 1,80 di altezza e m 0,22 di spessore. Il rilievo a cornice non è visibile ma se ne ipotizza la presenza nella faccia che giace a contatto col suolo; la lastra, infatti, parrebbe trovarsi ancora nella posizione naturale di caduta, con la parte anteriore a terra. La Castaldi aveva ipotizzato che la sola lunetta avesse dovuto trovarsi in origine eretta al di sopra del portello della ex domus de janas, sulla bancata di roccia; ipotesi suggerita dalla particolare lavorazione della fronte di roccia, in cui è stato profondamente incavato l’alloggiamento delle lastre dell’esedra mentre è stata risparmiata l’area centrale, attorno al portello, che quindi in origine risaltava sino al filo della linea degli ortostati laterali. L’ipotesi, tuttavia, non convince del tutto, e soltanto lo scavo integrale dell’area dell’esedra (purtroppo ostacolato proprio dalla presenza della grande lastra della lunetta semicircolare riversa al suolo) potrebbe fornire utili chiarimenti in proposito.

(da P. MELIS, La necropoli ipogeica di “Sa Figu” – Ittiri (Sassari), in AA.VV., Studi in onore di Ercole Contu, Università di Sassari, Facoltà di Lettere e Filosofia, EDES/TAS, Sassari 2003, pp. 97-123)

 

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