CAMPAGNA DI SCAVI 2001

 

Nel luglio del 2001 è stata condotta una prima campagna di scavi archeologici nella necropoli ipogeica di “Sa Figu” (o “Nuraghe sa Figu”), nel territorio di Ittiri (SS), diretta dallo scrivente, nell’ambito di una collaborazione fra il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e la Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro. Agli scavi, sovvenzionati dall’Amministrazione Comunale di Ittiri e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari, hanno preso parte 15 studenti dei Corsi di Laurea in Lettere Classiche e Conservazione dei Beni Culturali e del Diploma Universitario per Operatore dei Beni Culturali

            La prima segnalazione della necropoli di “Nuraghe Sa Figu” si deve a Ercole Contu (Notiziario-Sardegna, “R.S.P.”, XVI, 1961, p. 276), che individuò quattro tombe (le attuali Tombe I-IV); fra queste, che lo stesso Contu definiva “già violate in antico, fu intrapreso lo scavo della Tomba I e della Tomba III, le quali diedero materiali databili almeno al Bronzo Medio II (pisside con orlo a “tesa interna” ed ornato metopale), sebbene lo studio integrale dei reperti – affidato alla compianta Maria Luisa Ferrarese Ceruti – non abbia mai visto la luce. Ancora E. Contu segnala, nel 1978 (Il significato della “stele” nelle tombe di giganti, Quaderni della Soprintendenza archeologica di SS e NU, 8, Dessì, Sassari, 1978, pp. 16, 66 nota 22, tav. VI) la singolare Tomba V, mentre più di recente le ricognizioni di Salvatore Merella hanno portato alla scoperta delle ultime due tombe della necropoli, la Tomba VI e la Tomba VII, sebbene vi siano chiare tracce della possibile presenza di ulteriori tombe ancora sepolte, ed altre certamente furono distrutte durante la realizzazione o l’ampliamento di quelle attualmente esistenti. Dal primo intervento di Contu, nel 1961, nessun altro scavo è mai stato effettuato nell’area della necropoli, sino alla ripresa attuale con la campagna del luglio 2001.

            La necropoli di “Sa Figu” si caratterizza per la presenza di due distinte fasi di utilizzo: la prima, nel Neolitico Recente/Eneolitico (cultura di Ozieri), con la realizzazione di un piccolo gruppo di tombe ipogeiche del tipo “domus de janas”: in questo periodo vennero scavate le Tombe I, II, III e VI, oltre ad una o due tombe distrutte per la realizzazione della Tomba IV, ed altre forse ancora sepolte nei pressi della Tomba I. Successivamente, agli albori della civiltà nuragica, nella Media Età del Bronzo (circa 1700-1300 a.C.), almeno tre ipogei (Tombe II, III e VI) vennero ampliati e trasformati in “domus a prospetto architettonico”, con l’aggiunta, in facciata, degli elementi tipici delle tombe di giganti: stele centinata ed esedra semicircolare. A causa della morfologia del sito (priva di alte pareti di roccia), gli elementi delle tombe di giganti vennero scolpiti a parte ed applicati sulla fronte, ad eccezione delle Tombe IV, V e VII, realizzate ex-novo, che furono invece interamente scavate nella roccia: la Tomba V addirittura in un masso erratico, come la ben nota Tomba di Campu Lontanu a Florinas (SS), sebbene sia priva del prospetto centinato (forse asportato).

In questa prima campagna di scavi sono state esplorate le Tombe II e IV, entrambe già ampiamente violate in tempi antichi.

 

La Tomba II è una ex ”domus de janas” ristrutturata. Il precedente ipogeo neolitico, composto in origine da una piccola anticella e da una cella principale su cui probabilmente si affacciavano altri due ambienti minori (a sinistra e sulla parete di fondo), venne rimaneggiato nel Bronzo Medio, con modifiche della planimetria interna (abbattimento delle pareti divisorie fra il vano principale e i due minori, mentre l’anticella venne risparmiata), e soprattutto con l’aggiunta di un’esedra semicircolare davanti all’ingresso. L’esedra venne realizzata lavorando preventivamente la bassa parete di roccia in forma semicircolare, ed addossandovi delle lastre ortostatiche, separate dalla roccia da un’intercapedine di terra e pietre; alla base venne realizzato il consueto sedile di pietre. Al centro dell’esedra, in asse con il portello dell’ipogeo e distanziata da esso, venne eretta una stele centinata, forse in origine bilitica (come nell’attigua Tomba III), di cui residuano ancora in situ due spezzoni della base rettangolare, con il portello di ingresso. Al di sopra della bancata di roccia, non essendovi uno spessore sufficiente per scolpire la riproduzione del tumulo allungato delle tombe di giganti (una caratteristica costante di queste tombe ipogeiche a prospetto architettonico), lo si realizzò con ortostati e pietrame di riempimento, esattamente come nelle coeve tombe di giganti subaeree.

All’interno, nel corso dell’ampliamento dell’ultima celletta di fondo (che in origine doveva avere un soffitto più basso degli altri vani), non potendo scavare verso l’alto, a causa dell’esiguo spessore del banco di roccia, si decise di ribassare il pavimento.

L'ingresso del pozzetto dell'ossario

Venne così accidentalmente sfondato il soffitto di una grotticella naturale sotterranea di origine carsica, che venne quindi utilizzata come ossario, forse per deposizioni secondarie ma più probabilmente per sgomberare la tomba dalla sepolture precedenti: infatti, all’interno della cavità non si rinvengono elementi certi di corredo, ed i materiali che vi sono stati ritrovati sono sicuramente caduti dalla tomba sovrastante, attraverso il pozzetto di discesa. Non si può escludere che gli scavatori abbiano volutamente cercato di intercettare la cavità naturale, già indiziata dalla presenza di fessurazioni all’interno della tomba.

A parte i reperti caduti nella cavità naturale, ben poco è stato rinvenuto all’interno della tomba, mentre copiosi materiali provengono dall’area dell’esedra, sostanzialmente in uno strato unico abbastanza sconvolto e sigillato da frammenti di lastre ortostatiche dell’esedra ed altro pietrame, soprattutto nel lato a sinistra della stele: il meglio conservato. I materiali ceramici, frammentari ed accumulati disordinatamente, sono probabilmente il frutto dello svuotamento della tomba, avvenuto in epoca imprecisabile. Dalla cavità naturale, o meglio dal pozzetto di discesa, si segnalano pochi frammenti di vasi sicuramente attribuibili all’Età del Bronzo Medio iniziale (fase Sa Turricula), provvisti di nervature o di anse a gomito, ed una tazza carenata quasi interamente ricostruibile, a superfici nera interna e rossiccia esterna.

Tazze carenate simili, sono presenti in buon numero anche nell’esedra, ma completamente frammentarie e difficilmente ricostruibili; un’altra classe di manufatti ampiamente documentata fra i materiali ceramici dell’esedra, è quella dei tegami a bassa parete, generalmente di fattura rozza ed impasti scadenti ed estremamente friabili, al punto che sorge il sospetto che non abbiano mai avuto un utilizzo pratico ma siano stati realizzati appositamente per le esigenze del corredo funerario.

Ad un riutilizzo nell’Età del Ferro avanzata (VII-VI sec. a.C.) si data il rinvenimento di una piccola fiasca del pellegrino nuragica decorata a cerchielli, priva del collo, trovata nell’esedra al di sopra del livello del bancone-sedile, a sinistra della stele; a questo stesso riutilizzo potrebbe collegarsi la presenza di un vago di collana in pasta vitrea a “occhi di dado”, di probabile produzione fenicia, rinvenuto nella grotticella-ossario, al cui interno tuttavia deve essere pervenuta non tramite il pozzetto di discesa (ormai ricolmo di terra sin dal Bronzo Medio-Recente, assumendo come terminus post quem la cronologia della tazza carenata quasi integra presente all’imboccatura del pozzetto stesso) ma piuttosto da una fessura naturale contigua.

Sempre dalla cavità naturale, proviene anche l’unica testimonianza dei corredi funerari della domus de janas, nella sua fase di utilizzo neolitica: si tratta di un frammento di vaso con decorazione incisa di un motivo a triangoli campiti da brevi lineette verticali, sfuggito alla ripulitura dell’ipogeo che precedette la sua ristrutturazione nel Bronzo Medio,

Per quanto riguarda i reperti ossei, le analisi sono ancora in corso; essi provengono quasi esclusivamente dall’ossario nella cavità naturale, mentre i resti rinvenuti all’interno della tomba sono abbastanza esigui, e riferibili probabilmente alle sepolture più recenti. Dalla cavità naturale provengono numerosi frammenti di calva (nessun cranio intero), molti dei quali riferibili a fanciulli, che si raccolgono in gran parte radunati e quasi impilati l’uno sull’altro in posizione rovesciata; anche le ossa lunghe sembrano essere state accatastate con un certo criterio, come se all’interno della cavità si volesse organizzare il materiale osseo separandolo per tipologia.

 

Scavi all'interno della Tomba IV

La Tomba IV, la più monumentale della necropoli, è un ipogeo scavato ex novo in età nuragica, con notevoli asportazioni di roccia, anche a scapito di una o più domus de janas preesistenti, che vennero distrutte e di cui rimangono poche tracce. Lo scavo dovette procedere, tuttavia, con difficoltà, finendo per interrompersi prima che fosse realizzata completamente l’esedra, che proprio per questo si presenta attualmente con una planimetria anomala, con l’ala destra ampia e falcata e quella sinistra che curva bruscamente quasi a chiudere lo spazio antistante. Al centro dell’esedra venne scolpito il motivo della stele centinata, con cornici in marcato rilievo dello spessore di quasi mezzo metro, mentre al di sopra della bancata di roccia venne risparmiato il tumulo allungato ad imitazione di quello delle tombe di giganti: in questa sepoltura, a differenza delle altre consimili, dove è appena accennato nel suo tratto iniziale, il tumulo venne scolpito per tutta la sua lunghezza sino al fondo, originariamente absidato ed oggi a sezione tronca per asportazione della parte terminale.

Un portello di dimensioni ridotte introduce in una grande camera circolare di oltre 6 metri di diametro, sebbene l’altezza raggiunga i due metri soltanto nella parte centrale: si tratta della cella funeraria più grande in assoluto fra tutte le tombe ipogeiche a prospetto architettonico oggi conosciute nell’Isola (circa ottanta).

Operazioni di disinfestazione dai nidi di api, nell'esedra della Tomba IV

Lo scavo integrale della tomba e dell’area dell’esedra, non ha restituito che pochi materiali estremamente frammentari, segno del radicale sconvolgimento subito dalle sepolture; anche i resti ossei rinvenuti erano completamente disarticolati e frantumati, al punto che, contrariamente alla tomba II, non una sola calva è stata ritrovata integra, ed anzi solo in rari casi si sono rinvenuti due frammenti combacianti di calotta cranica. Soltanto a contatto con il pavimento, in un settore ristretto della camera tombale, si sono rinvenute alcune vertebre in connessione anatomica, ma nulla di più.

All’interno del vano, è stato evidenziato un unico strato archeologico, al di sotto di una colmata di pietrame che interessava praticamente tutta la tomba, e della quale si ignora l’origine: è comunque certo che l’accumulo di pietrame all’interno dell’ipogeo sia da attribuire ad intervento antropico, presumibilmente in tempi abbastanza recenti. Lo strato di terriccio sottostante ha restituito materiali di tutte le epoche, mescolati e frammentari: ceramica del Bronzo Medio (un frammento con nervatura sotto l’orlo; un altro con orlo ingrossato, piatto superiormente e rivolto verso l’interno – non tuttavia a “tesa interna”, sebbene la datazione sia analoga), ceramica di età romana e forse alto-medievale, oggetti di età moderna, e fra questi ultimi un rosario del XIX secolo (di Santa Filomena), sepolto in un punto dove lo strato archeologico era stato scavato sino al pavimento.

Alcuni elementi di ornamento dovevano far parte di ricchi corredi femminili, ormai irrimediabilmente andati dispersi: è il caso di due splendidi vaghi di cristallo di rocca, o delle poche perline in pasta vitrea o faïence (meno di una decina), tutte di dimensioni diverse, residuo di collane che in origine dovevano essere composte da centinaia e forse migliaia di elementi. La datazione di questi pezzi, in assenza di sicuri dati del contesto stratigrafico, può oscillare dall’età del Bronzo sino alla tarda Età Romana; sicuramente preistorici sono, invece, un vago di collana in osso ed un pendente forato in scisto, quest’ultimo proveniente dall’esedra e forse residuo dei corredi delle domus de janas neolitiche distrutte durante lo scavo di questa tomba.

Ad un riuso della tomba nell’Età del Ferro rimanda invece un frammento di braccialetto nuragico in bronzo con decorazione a “spina di pesce”; all’incirca agli stessi tempi, o poco prima, può datarsi un probabile frammento di fibula ad arco semplice, sebbene troppo lacunoso per una attribuzione certa.

Grande interesse ha suscitato, nella Tomba IV, lo scavo dell’esedra, sebbene esso abbia restituito soltanto pochi materiali di scarso significato; è emersa, infatti, una situazione stratigrafica di grande importanza per comprendere la genesi dell’ipogeo. Al di sotto di uno strato di crollo – ove giacevano, assieme a terra e pietre, frammenti del prospetto centinato ed altri sfaldoni di roccia franati dall’alto - è affiorato uno strato di pietra calcarea in disfacimento, regolarizzato a mo’ di pavimentazione, che a sua volta insisteva su uno strato di notevole ed esteso incendio, quest’ultimo praticamente a contatto con la roccia naturale.

Si scava nello strato di incendio, nell'esedra della Tomba IV

I carboni sono stati sottoposti a datazione col metodo del C14 ; la determinazione è stata effettuata dal laboratorio dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del C.N.R. (Area della Ricerca di Roma) diretto dal Prof. Giorgio Belluomini. Il risultato è stato il seguente: Età convenzionale = 584±29 BP; Età calibrata compresa fra 1302 e 1414 A.D.; il delta C13 = - 24.70. Si tratta, quindi, dei resti di un fuoco di epoca medievale: all’incirca del periodo in cui l’area era sotto la giurisdizione del Monastero Cistercense di Nostra Signora di Coros. Difficile stabilire l’origine del rogo: forse un falò legato alla tradizione religiosa della Sardegna (S. Antonio? S. Giovanni Battista?), o forse il tentativo di riutilizzare l’esedra della tomba come rudimentale fornace per la calce.

            Per quanto riguarda i resti umani, lo studio dei reperti osteologici, tutt’ora in corso da parte dell’équipe diretta da Vittorio Mazzarello dell’Università di Sassari, ha finora permesso di stabilire il numero approssimativo di persone sepolte nella tomba: 73 individui, di cui 10 bambini. Per quanto riguarda la determinazione del sesso, resa difficile dal pessimo stato di conservazione dei resti, sono stati individuati almeno 10 soggetti femminili e 16 maschili. La statura media, sulla base delle pochissime misurazioni effettuate, è di cm 162.

            Particolare interesse ha suscitato la presenza di un frammento di calotta cranica, di un soggetto femminile, con tracce di probabile trapanazione, a meno che non si tratti di una qualche forma di patologia degenerativa o di esito traumatico. Se confermato il dato, si tratterebbe della trapanazione cranica più tarda fra quelle riscontrate in Sardegna, finora provenienti soltanto da contesti dell’Età del Rame e soprattutto del  Bronzo Antico, a prescindere dalla discutibile attribuzione cronologica alla fase Sa Turricula della sepoltura di Sisaia-Dorgali (NU).

                                                                                           Paolo Melis

                                                    (da “Rivista di Scienze Preistoriche”, LII, 2002, pp. 396-398)

 

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